Il lato positivo

Sabato ho avuto l’occasione di vedere il film “Il lato positivo”, una godibile commedia su due persone con medie problematiche psicologiche (un leggero bipolarismo e una ninfomania auto-boicottante). Il film ha un merito interessante, quello di sottolineare con delicatezza il fatto che “visto da vicino nessuno è normale”. I protagonisti si muovono infatti in un contesto di persone i cui disagi non sono certo inferiori ai loro, sottolineando il fatto che non esiste uno spartiacque fra sano e malato e che, come sosteneva anche Freud, siamo tutti, di base, nevrotici. Il disagio è una condizione umana normale, ha radici antropologiche importanti perché risponde all’antica necessità di accorgersi per tempo dei pericoli che minacciano la nostra sopravvivenza. Oggi quei pericoli oggettivi e reali sono in gran parte venuti meno, ma il nostro cervello rettiliano è ancora abituato ad aspettarseli. Partendo dal principio che un’abitudine non si può eliminare, ma solo sostituire, il coaching fornisce metodi e strumenti per sostituire le nostre antiche abitudini, ormai fuori luogo se non addirittura disfunzionali, con altre abitudini più consone al soddisfacimento dei nostri bisogni. Un altro elemento molto interessante, evidenziato dal film, è la lucidità della protagonista femminile, che ci dimostra come la consapevolezza del disagio rappresenti già un grosso passo avanti nella direzione del cambiamento. Chi prova disagio e ne è cosciente ha già intrapreso il cammino, a differenza di chi non ha ancora accettato l’oggettività dei propri dolori che, mi preme sottolineare, rappresenta una condizione universale. Quasi dimenticavo: il film è anche una denuncia della compulsione americana per il lieto fine … chissà se si tratta di una denuncia consapevole …

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